Economia

Gestione Covid, la lettera di Enrico Auricchio: “Serve programmazione”

Riceviamo e pubblichiamo la lettera dell’avv. Enrico Auricchio, imprenditore napoletano con lunga esperienza alla guida di importanti realtà in ambito sia pubblico che privato.
Presidente, per anni, del prestigioso Conservatorio “San Pietro a Majella”, nel suo curriculum vanta anche una lunga permanenza negli Stati Uniti d’America, dove ha creato e gestito un’ampia rete di vendita nel progetto di consolidamento del marchio “Auricchio” e la partecipazione attiva nel sociale con il sostegno ad iniziative e progetti filantropici per i giovani in difficoltà nella città di Napoli.

Riteniamo, anche per questo, particolarmente interessante proporre le sue considerazioni in relazione alle conseguenze economiche e sociali legate al Covid e alla sua gestione.

Cari lettori,
ancora oggi, pur avendo 72 anni, e pur avendo passato 7 anni negli Stati Uniti, non ho ancora capito perché noi italiani pecchiamo di programmazione.

Eppure noi siamo un popolo molto creativo e con la nostra intelligenza riusciamo ed abbiamo creato tante cose nel mondo. Esempio uno su tutti: abbiamo creato il telefonino ma ad oggi non abbiamo, in Italia, un’azienda che produce telefonini.

Ciò significa che noi siamo bravi a creare, ma poi non riusciamo a portare avanti la nostra creazione.

Infatti noi siamo bravi nel cibo, nella moda, ma siamo carenti nei settori in cui ci vuole programmazione e continuità per far diventare il prodotto che abbiamo creato, un prodotto di successo.

Sicuramente la programmazione ha bisogno di tempi, d’impegno e di perseveranza. Cosa che a noi italiani manca. Forse anche per la nostra cultura latina, ci piace non avere dei paletti già stabiliti e da seguire giorno per giorno.

Vorrei paragonare il Covid – seconda fase – a quello che fecero gli americani quando dovettero organizzare la venuta degli europei sul loro territorio. L’organizzazione americana decise che non era possibile far arrivare sul territorio americano tutti gli immigrati che venivano dai Paesi europei, allora decisero di farli arrivare su un’isola vicino la costa americana e decidere la selezione sia fisica che mentale prima di dare l’ok a procedere all’accettazione delle persone.

Ora io penso che a giugno in Italia avremmo dovuto fare un po’ la stessa cosa.

Organizzare dei pre-ospedali, dal mese di giugno, in altri posti (ad esempio, nel caso di Napoli, penso all’Ospedale Militare, Palazzo dei Poveri, Vecchio Tribunale) dove convogliare tutti i malati Covid, per quella che chiamano “degenza sociale” e non affollare così gli ospedali.

Mandare nei nosocomi solo chi ha esigenza di terapia intensiva o semi-intensiva.

Ma tutto questo avrebbe bisogno di organizzazione, di tempi, di persone per seguirne la programmazione e tutto l’insieme.

Ma noi italiani siamo preparati a tutto questo?? O sappiamo fare solo la cicala come abbiamo fatto per tutta l’estate??

Avv. Enrico Auricchio

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