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Joker, il sorriso amaro della pazzia incanta il mondo

Il film dell’anno, probabilmente.

Nell’anno del penultimo lungometraggio della carriera geniale di Quentin Tarantino.

Nell’anno del ritorno, alla corte del Re di Hollywood Scorsese, del trio delle meraviglie Al Pacino; Robert De Niro; Joe Pesci.

Joker e il premio Oscar in pectore

Ovazione e palma d’oro a Venezia. Oscar in pectore, nonostante le preventive e scontate smentite di rito per preservare un’inutile suspance.

Può piacere o non piacere la trama, può non essere gradita la genesi fumettistica del personaggio, può mettere paura la violenza. Ma Joaquin Phoenix ha sollevato virtualmente la statuetta di miglior attore del più antico premio cinematografico del mondo fin dalla prima scena.

Senza bisogno di parlare, come Di Caprio in Revenant, sfoderando solo un sorriso triste in un broncio ironico.

Il nemico di Joker non è Batman 

Così diverso da quello sfrontato ed ineffabile di Jack Nicholson nel Batman di Tim Burton e così lontano dall’indimenticabile e indimenticato rivale del “Cavaliere oscuro” interpretato da Heath Ledger.

Il nemico del Joker di Todd Philips è solamente se stesso.

Il nemico non è Batman, qui semplice e spaurito bambino viziato, figlio “per bene” di un candidato sindaco antipatico solo perché ricco.

Il nemico non è la società che lo abbandona alla sua pazzia, come pure la critica si è affrettata a scrivere.

Solitudine e disagio sociale

Il jolly, come veniva, maldestramente, tradotto alle origini il personaggio appena arrivato sulle pagine dei fumetti italiani, lotta per due ore sullo schermo solo (e, soprattutto, da solo) contro i propri fantasmi.

Combattuto tra il desiderio di allinearsi alla massa e il volerla vedere distrutta per non dover più combattere.

Lo spensierato e brillante regista di pellicole divertenti passa dal sarcasmo di “Borat” al disimpegno di “Una notte da leoni” per arrivare ad usare la violenza come metafora di una sconfitta umana e sociale.

Citazioni, riferimenti ed easter eggs nel Joker del 2019

Infiniti i riferimenti cinematografici e le ispirazioni di genere: evidenti quelle a “Taxi Driver” e “Re per una notte” di De Niro e Scorsese (sì, sempre loro), immediate e palesi quelle a “Tempi Moderni” di Charlie Chaplin o “Blow Out” di Brian De Palma.

Ma questo Joker non imita nessun clown. Non somiglia al capolavoro di quel Fenomeno di Christopher Nolan, non scimmiotta le idee originali di Joel Shumacher o Tim Burton.

La violenza di Joker 

Questo Joker non scandalizza per la violenza, ma ricorda (e mi stupisce non averlo sentito dire da nessuno), senza paura del confronto, l’”Arancia meccanica” di un visionario Stanley Kubrick che prefigura una società apocalittica che crede nella violenza come unica soluzione al disagio e la giustifica come alternativa possibile ad un mondo fatto di regole economiche e politiche sbagliate.

Joker è pazzo, è felice solo in manicomio.

E, per questo, cerca di trasformare il mondo nella planetaria corsia del suo personale ospedale psichiatrico.

C’è chi lo segue per idolatrarlo e chi lo insegue per fermarlo.

Forse basterebbe solo capirlo per curarlo.

“Sono solo io o in giro tutti stanno diventando pazzi”?

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